R-Esistenti e Libere è il titolo del programma che le associazioni femminili (Casa delle donne contro la violenza, Centro documentazione donna, Differenza Maternità, Donne nel Mondo, Gruppo Donne e Giustizia, Udi Modena, One Billion Rising Coordinamento Italiano) hanno lanciato in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne del 25 novembre, con uno sguardo che da Modena si allarga al mondo, per far comprendere come le basi culturali della violenza di genere riguardino tutti e tutte in modo universale, perché fanno parte del sistema di potere che permea le strutture sociali in cui viviamo.
E allora R-Esistenti poiché quotidianamente viene combattuta una lotta contro stereotipi culturali e discriminazioni subite solo perché si è donne. R-Esistenti contro una violenza che ha il viso di persone vicine, di mariti, padri, fratelli, compagni o che usa parole degradanti per annientare psicologicamente. Una violenza che assume i contorni della tratta, della vendita di giovani donne perché si sposino con uomini imposti dalla tradizione.
Ma Libere nella scelta di non sottostarvi perché la discriminazione si può fermare mettendo in atto un profondo cambiamento culturale che coinvolga donne e uomini.
Come cita la Convenzione di Istanbul, infatti, “il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” riconoscendo in essa una “manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”.
Quando nel 2013 la Convenzione di Istanbul venne ratificata nel nostro Paese, poco dopo si instituì a livello nazionale il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere che intendeva collaborare fattivamente con le associazioni per prevenire e arginare il fenomeno; simili motivazioni aveva la legge regionale del 2014 Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere. Ma all’oggi le aspettative sono state largamente disattese in quanto alla loro applicazione.
Le associazioni femminili auspicano unitariamente, ancora una volta, da un lato che si riconosca il ruolo delle associazioni che da anni lavorano sul tema, elaborando un sapere fondato sulla relazione, nel rispetto dei diritti e dell’autodeterminazione delle donne, attraverso una metodologia della prevenzione e dell’accoglienza meditata e provata sul campo, dall’altro che la politica si assuma definitivamente la responsabilità del fenomeno investendo risorse stabili e continuative anche su attività culturali ed educative di prevenzione. La stessa mancanza di un osservatorio nazionale che fornisca precisi dati su femminicidi e violenza di genere, per meglio orientarne azioni e politiche, e l’assenza dell’istituzione di un ministero per le Pari opportunità, fa comprendere quanto, al momento, la politica Italiana sia lontana dal ritenere centrali le indicazioni degli organismi internazionali che più volte hanno ripreso l’Italia in tal senso.
Che genere di morte: oltre i dati
Non sono i dati che possono indicare la dimensione della violenza maschile sulle donne, ma certamente descrivono un fatto strutturale che non riguarda solo il nostro Paese. I dati aiutano a portare all’attenzione dell’opinione pubblica un fenomeno che spesso resta nascosto ed offrono una base per avviare strategie di contrasto che non devono essere solo legalitarie. In questo senso le associazioni femminili annualmente monitorano puntualmente il fenomeno offrendo una alternativa con azioni quotidiane di prevenzione alla violenza e presa in carico delle donne.
I dati statistici a riguardo delle violenza maschile sulle donne sono più che allarmanti. In generale una donna su tre è stata vittima, almeno una volta, dell’aggressività di un uomo, il più delle volte si tratta di violenza domestica, ma sappiamo quanto le diverse tipologie spesso si sovrappongano in uno stesso caso. Gli autori dei delitti sono nella maggior parte dei casi, fidanzati, ex fidanzati, mariti: vengono quindi uccise per un gioco di potere e di prevaricazione che soggiace alle relazioni secondo stereotipi culturali che permeano la società.
Oltre 100 paesi nel mondo sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica, ed oltre il 70% delle donne nel mondo ne sono state vittime. Ma molte non denunciano.
Secondo le ultime statistiche fornite dall’Udi di Modena (fonte ProsMedia, osservatorio sul femminicidio) sono 96 le donne uccise in Italia nel 2015, di cui 12 in Emilia Romagna e 2 in provincia di Modena, contro le 108 dello scorso anno, di cui 4 in Emilia Romagna e 1 in provincia di Modena.
Nel 2015 le donne che si sono rivolte alla Casa delle donne contro la violenza di Modena sono state 300, in prevalenza italiane (dati al 31/10) contro le 372 dello scorso anno.
I dati scorporati per tipologia di violenza sono: fisica 146; economica 74; sessuale 29; psicologica 184 (tenendo conto che una singola persona può essere oggetto di più abusi o prevaricazioni).
I figli che hanno subito violenza 110, donne con figli che hanno subito violenza 67. Le donne ospitate in casa rifugio nel 2015 sono 9 come i bambini ospitati in casa rifugio con le loro madri.
Sempre nel 2015 sono invece 360 (Modena e provincia) le donne che hanno richiesto consulenza all’Associazione Gruppo Donne e Giustizia per il servizio ‘ascolto donna’, di cui 230 per consulenza legale e 40 per consulenza psicologica (dati in dettaglio parziali non comprensivi della provincia) contro 427 dell’ascolto donna del 2014 di cui 236 per consulenza legale, 73 per consulenza psicologica (altri per informazioni) per un 65% di italiane e 26% di altri paesi; la fascia di età copre di media dai 30 ai 50 anni con una leggera maggioranza dai 41 ai 50.
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